A Roma, si è svolto il 3° Congresso della Società Italiana di Gastro Reumatologia. Menotti Calvani, neurologo e nutrizionista dell’Università di Roma ha sottolineato l’importanza di scegliere i cibi giusti. L’esperto ha fatto riferimento in particolare alle patologie gastroreumatologiche, e le malattie infiammatorie croniche intestinali. In questi casi le variabili che entrano in gioco sono due: la storia individuale di ogni singolo paziente e la ridotta qualità nutrizionale dei cibi industriali o provenienti da terre lontane.
“L’unicità genetica e di storia personale degli individui impedisce di pensare che i macro e micronutrienti contenuti in un alimento – broccoli, carciofi, pesce, formaggi, carne, etc. – facciano poi bene a tutti”.
Oggi è infatti necessario tenere in considerazione la qualità del cibo industriale o globalizzato, che dipende anche dalla sua conservazione, dal suo trasporto e dai suoi costi di produzione.
“Non sempre le certificazioni sono rassicuranti. Prendiamo la carne. Si tratta di un alimento solitamente considerato per il suo alto contenuto proteico utile al muscolo senza innalzare l’insulina e indicato nelle patologie gastroreumatologiche, specie negli over65, insieme alle fibre che ‘saldano’ l’endotelio intestinale favorendo l’azione batterica del microbioma.
Mediamente, una bistecca statunitense contiene il 26/28% di grassi contro il 5/6% delle bistecche europee, eppure di questa informazione non c’è traccia“.
Per fare del cibo la propria medicina è necessario affidarsi ai suggerimenti di un medico dietologo o di un biologo nutrizionista.
In generale però, la dieta mediterranea: “assunta in modica quantità, grazie all’apporto di antiossidanti, fibre e cibi integrali che ostacolano l’afflusso improvviso e rapido di zuccheri nel sangue con conseguenti picchi di risposta insulinica, pesce per le sue caratteristiche antinfiammatorie come le fibre, limitato uso di carni, grassi e carboidrati secondo il principio generale per cui più un cibo è lontano dalla propria tradizione più si riduce la capacità del microbioma di riconoscerne gli effetti benefici”.
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